Prosegue la nostra rassegna di articoli incentrati sulle prime dotazioni del neonato Corpo Nazionale; analizzeremo in questa occasione l’introduzione della prima uniforme da fatica ed intervento consegnata ai vigili del fuoco.
Nel lungo processo che porterà alla definizione e fondazione del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco con il RDL. n.333 del 27 febbraio 1939, uno dei passi più importanti, all’atto pratico è la definizione di ciò che i neo militi del fuoco dovranno indossare quotidianamente per svolgere le loro mansioni, e i capi protettivi per adempiere alle operazioni di soccorso. L’uniforme propriamente detta è il tratto distintivo dei pompieri fin dall’antichità proprio perché li identifica e li consegna, nell’immaginario comune, alla figura di eroe popolare.
Prima del Corpo Nazionale, la situazione lungo la penisola italiana era pressoché eterogenea, ad ogni comune era affidata totale libertà nell’organizzazione e gestione dei servizi antincendio. Questa prassi aveva favorito nei primi tempi il nascere di realtà completamente indipendenti sia sotto il profilo tecnico organizzativo che dall’aspetto uniformologico; tenendo presente che i primi corpi municipali nascono nei primi anni del 1800, le uniformi scelte traevano ispirazione, nella maggior parte dei casi, dalla moda militare dell’epoca, con poche differenze fino all’inizio del 1900 la maggior parte dei corpi comunali era dotata di giubbe a doppio petto con il collo chiuso, a seconda della ricchezza dei corpi era possibile riscontrare la presenza di vari accessori come spalline metalliche con le frange, ovviamente indossate nelle occasione di rappresentanza e berretti a tubo con differenti distintivi metallici e galloni di grado per differenziare i semplici pompieri dai sottufficiali e ufficiali.
In questo panorama, era naturale la nascita di un tavolo di confronto, che si proponeva come aggregatore dei principali comandanti delle grandi città italiane, l’attività svolta prevedeva l’organizzazione di Congressi Pompieristici, proprio per cercare di abituare alla collaborazione le principali realtà presenti lungo lo stivale, con l’obiettivo dichiarato di spingere la politica ed il governo a riformare i servizi antincendio, uniformandoli, sul piano organizzativo e soprattuto tecnico.
Con l’avvento della Federazione Tecnica dei Corpi Pompieri Italiani, appoggiata dall’allora Ministero dell’ Interno, iniziò una vasta opera di unificazione con cui si giunge nel 1935 al primo passo che porta ufficialmente alla nazionalizzazione del Corpo.
Sempre la Federazione Tecnica suggerisce l’adozione di una prima uniforme nazionale dei pompieri, introdotta con la Circolare Ministeriale n.16000.4/60297 del 24 aprile 1934, XII; tale tenuta venne distribuita rapidamente alle principali città italiane, mentre le città di provincia a causa dei tempi burocratici e delle esigue finanze non riuscirono a dotarsene per tempo.
Infatti il Ministero tramite l’Ispettorato Generale Vigili del Fuoco dopo soli quattro anni introduce con la Circolare n.1027/A.22, datata 7 gennaio 1938, XVI una nuova uniforme:
– “Allo scopo di dare un’impronta personale inconfondibile al nuovo Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, il DUCE ha prescelto il colore della stoffa per la nuova uniforme.” –
L’Ispettorato individua la Ditta V.E. Marzotto di Valdagno, quale stabilimento di rifermento per la produzione delle stoffe necessarie alla confezione delle uniformi, il materiale prescelto e costituito da:
Stoffa n°48201 – diagonale per divise, berretti e bustine dei Sigg. Ufficiali.
Stoffa n°48011 – castoro per cappotto dei Sigg. Ufficiali.
Stoffa n°00526 – Melton per divise, berretti e bustine per Sottufficiali e Vigili.
Stoffa n°781/1 – Melton per cappotto Sottufficiali e Vigili.
Il materiale descritto viene messo a disposizione dei singoli Corpi gradatamente dal 1 giugno al 30 luglio 1938, ogni Comando deve prenotare i quantitativi necessari alla produzione delle uniformi, inviando le richieste direttamente al rappresentante della Ditta Marzotto, sig. Armando Cardazzi, presso gli uffici di Milano in Via Doria, 35.
Il Melton delle uniformi per Sottufficiali e Vigili è un fustagno pesante, tra il color marrone chiaro e il khaki scuro; la trama e il peso specifico del tessuto lo rendevano particolarmente resistente all’usura, pur mantenendo una certa morbidità al tatto, fatto indiscutibilmente non secondario in quanto lo rendevano particolarmente comodo e confortevole.
Le istruzioni dell’Ispettorato prevedono che, ogni Comando Provinciale non appena ricevuti gli scampoli di tessuto necessario, devono interessarsi di individuare una sartoria localmente in grado di confezionare le uniformi necessarie alle esigenze del personale in servizio, come sempre in base alle disponibilità di bilancio del Comando.
Pur non avendo un quadro completo, si può affermare che nel corso della primavera del 1939, tutti i Corpi Provinciali vengono dotati della nuova uniforme, un esempio è il Comando di Torino che dispone l’adozione della nuova tenuta con OdG del 1 Aprile 1939.
I tempi ristretti di adozione delle nuove tenute sono motivati dalla scelta del Ministero dell’Interno di organizzare il I° Campo Nazionale dei Vigili del Fuoco a Roma il 24 giugno 1939.
L’occasione viene sfruttata per presentare ufficialmente alla popolazione italiana il neonato Corpo Nazionale e l’immagine di quello che all’epoca era considerato il moderno Vigile del Fuoco
L’uniforme da fatica e intervento Mod.38
Anche se non esiste una vera e propria nomenclatura il collezionista tende ad indicare la nuova tenuta da intervento come Modello 38, essa è composta da un pratico giubbetto corto e pantaloni alla zuava da infilare in stivali dalla gamba floscia.
Questa tenuta si ritiene sia sta ispirata da modelli coevi come il battledress pattern 37 in uso all’esercito britannico e alle tenute sportive, proprio per il drastico distacco dalle giacche lunghe di foggia passata, il modello corto infatti garantiva una maggior comodità e agilità per l’utilizzatore.
Il giubbetto era caratterizzato da spalline con profilatura rossa e colletto chiuso alla tedesca sul quale venivano apposti i fregi metallici recanti la nuova fiamma con asce incrociate che sormontano un fascio littorio.
Sulle maniche del giubbetto venivano posti i galloni di grado da Vigile Scelto o Vice Brigadiere e Brigadiere. I Marescialli invece portavano i “binari” ricamati sulle spalline. Sempre sulla manica sinistra veniva ricamata una V rossa racchiusa da un cerchio per differenziare il personale volontario da quello permanente, erano poi ricamati per tutti, i distintivi di specialità o gli scudetti relativi alle formazioni speciali, quali le Squadre Celeri, Squadre di Montagna, Squadre Portuali e Battaglione Speciale “Santa Barbara”.
Inizialmente l’uniforme in Melton era considerata valida sia per l’inverno quanto per l’estate, anche se nel corso della guerra verranno prodotte delle varianti in tela più leggera per i mesi estivi, quest’ultimi sembra non abbiano avuto diffusione capillare come la versione originaria, tanto che anche da un evidenze fotografiche si è potuto rilevare che nei mesi estivi era più facile incontrare Vigili che in sostituzione del giubbetto mod.38, indossano giacche sahariane di provenienza dal Regio Esercito oppure confezionate privatamente.
La produzione di questi capi avveniva nella maggior parte dei casi a cura delle sartorie locali, sono noti pochi stabilimenti di grandi dimensioni come la VeDeMe di Milano e la Pasquale Veronesi di Roma che proprio perché situati in grandi metropoli servite da Comandi di I° Categoria erano scelti per la fornitura delle uniformi.

Questa organizzazione ha prodotto l’effetto che nonostante il lavoro veniva effettuato a mezzo di carta modelli, esistono numerose varianti di uniforme, frutto anche del fatto che i singoli Vigili, laddove ne avevano la possibilità economica, apportavano modifiche per le più svariate ragioni; è così facile incontrare giubbotti dove il collo chiuso è stato modificato aperto, esemplari che invece di essere chiusi alla base fa una fettuccia con fibbia, hanno solo un bottone in frutto scoperto o le tasche pettorali che cui viene modificato il soffietto e la chiusura, anche i pantaloni negli esemplari visionati molto spesso differiscono per forma e lunghezza, a riprova che il metodo indicato dall’Ispettorato garantiva una certa rapidità di approvvigionamento a discapito del controllo sul prodotto finito.
Se nei primi anni di introduzione della nuova uniforme il regolamento imponeva il colletto chiuso, nel corso della guerra viene tollerato l’uso del collo aperto in modo da mostrare la camicia sottostante, sempre portata con la cravatta nera regolamentare tipica dell’uniforme da libera uscita.
Un’altra modifica è l’introduzione di un comodo maglione a collo alto bianco per gli appartenenti alle Squadre Celeri, questo capo molto apprezzato dai Vigili porta ad una diffusione per moda ed emulazione, tanto che lo stesso Ministero ne dispone l’acquisto e la distribuzione in molti Comandi, variandone la colorazione che passa dal bianco al nero. Questa introduzione per tutti gli appartenenti al Corpo è riscontrabile anche nelle tavole del Degai datate 1943.
La tenuta introdotta nel 1938 verrà dismessa con l’introduzione di una nuova uniforme da fatica a mezzo della Circolare n.69 del 4 agosto 1955, invero la tenuta “bellica” non viene dismessa subito, anzi, le nuove uniformi invece che esser prodotte in loco a carico dei Comandi Provinciali vengono consegnate direttamente dai magazzini di Roma presso le Scuole Centrali Antincendio, le modalità e tempistiche di distribuzione dei nuovi capi, faranno si che molti distaccamenti minori e di volontari continueranno ad utilizzare la vecchia uniforme fino a primi anni ‘60.

I fregi distintivi
Un capitolo a parte lo meritano i fregi che vengono adottati contestualmente all’introduzione della nuova uniforme nel 1938.
Limitandoci a quanto viene prescritto sulle norme d’utilizzo della nuova uniforme, è giusto ricordare che prima della Nazionalizzazione, la Federazione Tecnica aveva suggerito l’adozione di un fregio recante una fiamma floscia sormontate due asce incrociate, la proposta accettata ebbe vita breve infatti, attraverso richiesta specifica del Ministero dell’Interno già a partire del 15 luglio 1937 veniva disposto l’uso del fascetto littorio del modello già utilizzato dalla Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale.
Con l’adozione della nuova uniforme nel 1938 viene sancito il ritorno a più modeste fiammette, queste verranno nuovamente sostituite con la Circolare prot. n.6739/30003.16 del 2 ottobre 1941 che indica con decorrenza dalla solenne festività fascista del 28 ottobre, la reintroduzione del fascio littorio; motivo della concessione l’intervento diretto da parte del Duce impressionato dalle gesta eroiche del Corpo coinvolto nei soccorsi alla popolazione civile durante i bombardamenti alleati.
Con il volgere degli eventi, alla caduta di Benito Mussolini, il 29 luglio 1943 viene disposto dal Ministero la sostituzione dei fasci littori con le stellette delle forze armate, questa soluzione durerà esattamente 45 giorni, il periodo di tempo che porta dalla caduta del fascismo all’armistizio del 8 settembre 1943.
Dopo questa data sia i Corpi nei territori della Repubblica Sociale Italiana sia quelli del Regno del Sud, utilizzeranno le fiammette mutilate del fascio littorio; questo distintivo rimane inalterato, senza modifiche, fino ai primi anni ‘70.

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